MONTENERO DI BISACCIA. Probabilmente a inizio anni Ottanta Gorizio Pezzotta non immaginava di fotografare la sede di un futuro mostro di cemento. Era convinto, è ragionevole ipotizzare, che stesse riprendendo i primi lavori di un nuovo edificio per l'Istituto professionale. Le cose sarebbero andate diversamente, quei diciotto pilastri sarebbero rimasti tali per decenni. E questo finora, perché non si sa se e quando il rudere di via Gramsci sarà abbattuto. Quella che ci si accinge a raccontare la storia di una costruzione nata sotto una cattiva stella, mai finita, anzi finita nel dimenticatoio alcuni anni dopo. Quello è ancora il suo posto, ma procediamo con ordine.
Era il 1975 quando il Consiglio comunale di Montenero votò all'unanimità la costruzione di un nuovo edificio per la scuola Professionale. Tempo dopo arrivarono i primi fondi e la costruzione cominciò tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli Ottanta. Occorre allora fare attenzione alla Montenero di quel tempo, quando il palazzetto dello sport ancora non c'era e la squadra di pallavolo scalava le classifiche regionali, oltre a competere e probabilmente superare il calcio in fatto di frequentazione giovanile. Si pensi che l'unica struttura disponibile in paese era la minuscola palestra delle scuole Medie e per questo anche d'inverno le partite di pallavolo si giocavano al campetto Belvedere. All'aperto, in una zona dove si vedono bene i monti della Majella e il golfo di Vasto, oltre che il bel panorama arrivano anche i freddi venti di tramontana e grecale.
Accadde perciò che il progetto iniziale fu cambiato, al fine di ospitare nella nuova scuola un campo da volley e basket regolare. Da qui l'enorme lavoro di sbancamento e scavo, ma anche l'esaurirsi in breve di quei 250 milioni di lire stanziati, consumati dalla sola variante. Imprevisto che di lì a poco si rivelò fatale, in tutta evidenza. Infatti la ditta costruttrice a metà anni Ottanta ebbe problemi finanziari, i quali coinvolsero anche vari condomini in costruzione o quasi terminati nella zona Neviera. I lavori si fermarono e lo erano ancora nel 1988, quando l'argomento tornò in Consiglio comunale. Il contratto con la ditta costruttrice fu risolto e, oltre a pensare ad ancora un'altra variante del progetto, si cominciava a realizzare che occorressero perizie geologiche e di verifica dello stato del cemento armato. Era solo la prima tappa di un'odissea.
Difatti da allora il completamento dell'Ipsia, con i risvolti giudiziari e la sempre più impellente necessità di ispezioni per verificarne la staticità, sarebbe ciclicamente apparso in Consiglio, soprattutto quando si presentava il Piano delle opere pubbliche. Successe perciò nel 1990, nel 1993, nel 1994 e nel 1996. In questa ultima data veniva fissata l'ipotetica ripresa dei lavori per due anni dopo. Rimarrà appunto ipotetica, ma soprattutto da quel momento il tema è diventato un tabù, proibito, praticamente mai più discusso, se non en passant, nelle amministrazioni comunali succedutesi.
Il rudere si copriva di sterpaglie, come si vede nelle foto, e il fondo diventava uno stagno dove l'acqua non sparisce nemmeno durante i mesi della siccità estiva.
Dalla sua ideazione a oggi, l'edificio del Professionale ha visto il susseguirsi di undici sindaci nell'arco di dodici legislature. Da un quarto di secolo l'argomento non è più preso in considerazione, diventato una sorta di cul de sac. Oggi l'unica soluzione sarebbe demolire pilastri e solai di cemento armato per recuperare il suolo, di proprietà del Comune assieme al terreno adiacente. Ma cosa fare dell'enorme voragine? Lasciarla così, profonda dieci metri oppure riempirla? E come? E quale solidità avrebbe una simile massa di terreno da diporto? E infine per farci cosa, per rivendere tutto per edilizia residenziale o cosa?
Forse non si saprà mai, il rudere rimarrà un rudere per sempre, nei secoli dei secoli. Dimentichiamo tutto con un amen, volendo dirla alla Francesco Gabbani.
Nelle foto: i lavori di sbancamento con il muro di contenimento su via Gramsci già costruito (primi anni Ottanta, foto di Gorizio Pezzotta, per gentile concessione dell'archivio fotografico Antonio Assogna), la struttura come appare oggi.