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Quando Montenero cacciò il podestà

Novanta anni fa la rivolta in piazza: morti, feriti e coprifuoco. Eppure il popolo l'ebbe vinta. La ricostruzione del drammatico evento

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MONTENERO DI BISACCIA. Più tardi quella data avrebbe assunto una sinistra simbolicità per l'Italia, mentre in quel 1931 a Montenero fu teatro di una sollevazione popolare, dai connotati via via divenuti più drammatici, fino a registrare morti e feriti. Rivolta animata, sia sottolineato, anche da massaie coraggiose quanto decise, in barba ai sostenitori del cliché che vuole le donne meridionali di allora sottomesse e rinchiuse in casa.
Accadeva esattamente novanta anni fa in piazza della Libertà, l'8 settembre, davanti al municipio che all'epoca si trovava nel palazzo oggi compreso fra due bar. La folla doveva occupare gran parte dell'area dove oggi sorge la rotatoria con fontana, i soldati si paravano loro davanti. Di seguito la ricostruzione dell'evento, riportando quanto scritto da due fonti dirette: Emilio Ambrogio Paterno (1) e Luigi Sacchetti (2). Due racconti, ognuno dei quali ha dettagli interessanti e diversi. Difatti Paterno era un insegnante e intellettuale di mezza età, Sacchetti un ragazzino di dodici anni, che solo per un caso quel giorno non si trovò quasi in mezzo ai manifestanti e ai proiettili.
L'antefatto
In pieno regime fascista, Francesco Di Vaira e Nicola Javicoli furono nominati dal ministero dell'Interno rispettivamente podestà e vice, ciò che secondo Paterno fu accolto "con un senso di sbigottimento e di sfiducia", tant'è che "il risentimento popolare fu tale da sfociare in ribellioni e infine sommosse". Arriviamo così al famoso 8 settembre 1931, giorno della sollevazione e della sparatoria, così narrato dai testimoni succitati dell'epoca.

Il municipio negli anni 30 (Archivio fotografico Antonio Assogna)
Il racconto di Paterno:
< Le campane suonavano a stormo. L'intervento massiccio della forza pubblica accrebbe il risentimento della popolazione che rispose con una fitta sassaiola: grida, lamenti dei feriti, arresti. Il giorno dopo i cittadini, più numerosi, reclamavano il rilascio dei prigionieri. Vi fu una vera lotta tra agenti, soldati venuti da Chieti, da Campobasso e i dimostranti. I militari vistisi sopraffatti fecero fuoco uccidendo tre persone: Lonzi Antonino, Fiorentino Nilo e Pasquale d'Aulerio che erano ai margini della mischia come spettatori. Anche tra i Carabinieri e la truppa vi furono feriti gravi.
Il Podestà e il Vice sparirono da Montenero per non farvi più ritorno. Molti furono gli arresti ed alcuni stettero in carcere parecchio tempo. Infine vi fu un indulto, e così finirono le dolorose conseguenze di quelle brutte giornate di settembre>>.

Questo il racconto dell'insegnante e storico, all'epoca già oltre i quaranta. Luigi Sacchetti invece era "in attesa di entrare nel Convitto nazionale di Campobasso per frequentare il primo ginnasio". Era distante solo qualche centinaio di metri dalla folla e dai disordini, mentre accadevano i fatti di Montenero, anche perché abitava lì vicino. Scrive infatti che ogni mattina: "uscivo presto di casa per godermi lo spettacolo di tutto quell'agitarsi e vociare della folla". Finché...
Il racconto di Luigi Sacchetti:
<<(…) ci siamo ritrovati davanti alla farmacia, dove un gruppetto di donne gridava “Abbasso Di Vaira e Iavicoli….” Ad un certo punto la campana della vicina chiesa annunciò il mezzogiorno, l'ora in cui a Montenero, come in tutto il Molise, si è sempre usato mangiare. Il funzionario della Pubblica Sicurezza si affacciò al balconcino e disse: "Buone donne è mezzogiorno, andate a mangiare”. Ma le donne dimostranti gridarono in coro: “Siamo mangiate” (3) … “Dai topi” gridò il funzionario. Si udirono vaste risate. Ma il divertimento, una brutta mattina, si trasformò in tragedia. Una gran folla stava a vociare davanti al municipio, mentre entravano gli impiegati, scortati dai poliziotti. Da un gruppetto di sconsiderati partì una gragnola di pietre che andarono a colpire i poliziotti e forse lo stesso comandante del reparto. Fatto sta che questi perse la testa e ordinò di fare fuoco. La mira deve essere stata ben al di sopra della folla, altrimenti il numero di morti sarebbe stato altissimo, molto più dei tre morti che ci sono stati. E morirono persone che non stavano tra la folla dei dimostranti. Tra loro il muratore Lonzi, fratello di Nicolino Lonzi, l'esattore. Egli fu colpito mentre stava nella parte alta del marciapiede attorno alla villa, quasi in corrispondenza della casa dei Cremonesi. Ci furono tra la folla una ventina di feriti; alcuni feriti da colpi di baionetta, poiché i poliziotti caricarono la folla con la baionetta innestata. Naturalmente ci fu un gran fuggi fuggi. Molta gente si diresse verso la mia casa, che distava un centinaio di metri dal piazzale davanti al municipio, luogo della sparatoria, allora situato nel palazzotto a fianco del mulino Cintio. Io ero uscito di casa poco prima della sparatoria ma prima di andare nel piazzale del municipio, luogo del mio divertimento, mi ero attardato a fare alcune sospensioni al ramo di un alberello di acacia che stava proprio davanti alla nostra casa. Mio padre, appena sentì gli spari, aprì la porta accingendosi ad una ansiosa ricerca di me. E quando mi vide appeso al ramo dell'alberello, mi strappò da esso e mi trascinò in casa, chiudendo la porta appena in tempo per impedire a una marea di gente in fuga di irrompere dentro la nostra casa. Ma di riparo per loro non ci sarebbe stato bisogno, perché delle raffiche sparate, nessuna fu indirizzata verso la via San Giovanni, cioè la nostra via che, in seguito, assunse il nome di via Carabba. Dopo la tragedia della sparatoria, Montenero fu messa in stato d'assedio. Arrivò un battaglione di soldati e fu decretato il coprifuoco. Non si poteva uscire di casa prima delle otto di mattina né circolare dopo le venti. Si era in tempo di vendemmia e quel coprifuoco provocò non pochi disagi. Dopo la tragedia dei morti e feriti, il podestà e il suo vice furono rimossi dalla carica e al loro posto arrivò come commissario prefettizio il dott. Rabito, un siciliano. Di Vaira e Iavicoli sparirono da Montenero e non vi tornarono mai più. Il primo si ritirò nella villa situata nella sua grande azienda agricola (4); il secondo se ne andò a Roma>>.

Veduta aerea della piazza oggi

La piazza di Montenero come doveva apparire negli anni '30
Dall'osservazione delle foto è evidente che le truppe mirarono alto, come scrive Luigi Sacchetti, facendo pericolosamente fischiare le pallottole sulle teste dei dimostranti lì innanzi. Colpirono così tre persone, coperte con ogni probabilità dalla vegetazione della Villa comunale, che stavano in disparte dalla parte opposta della piazza. E se a sparare furono fucili Carcano mod. 91 (lo stesso tipo usato contro il presidente americano John Kennedy a Dallas nel 1963), è facile dedurre come i proiettili arrivarono con fin troppa facilità e mortale efficacia sulle inconsapevoli vittime.

Piazza della Libertà oggi inquadrata dalla visuale dei soldati nel 1931
Col senno di oggi
La sommossa del 1931 a giudizio di chi scrive non è da considerare come rivolta contro il fascismo, bensì in opposizione a quel podestà in particolare. Contro la persona, non contro il regime. Certo avvenne quando la dittatura mussoliniana era al suo apice, ma come la stragrande maggioranza dei comuni italiani Montenero non dava l'impressione di essere – a inizio anni Trenta – anti fascista. Qui come altrove si tenevano le parate in piazza, lo dimostrano le foto storiche con le divise di balilla, figli della lupa ecc. di bambini e ragazzi, in omaggio a quel totalitarismo che mirava a indottrinare gli italiani fin dalla più tenera età. Gli anni del cosiddetto consenso, si consideri che qualche anno dopo anche da Montenero sarebbero partiti alcuni volontari per la guerra di Spagna, benché avrebbero scoperto la propria destinazione – e di dover combattere per Franco - solo una volta superate le colonne d'Ercole e sbarcati a Cadice (5).
Tornando a quel 1931, Montenero non era né più né meno fascista di tutti gli altri comuni italiani. Ne consegue che i disordini di novanta anni fa non furono altro che una ribellione a quel podestà, omologo del sindaco in epoca littoria ma non eletto democraticamente. Tuttavia va sottolineato che i monteneresi lo fecero quando il regime era saldamente al potere da quasi un decennio, persino con i soldati schierati davanti a loro. In definitiva non fu una rivolta contro il fascismo, come probabilmente vorrebbe chi non riesce a liberarsi da certa ideologia imbevuta di retorica progressista, ma avvenne quando di coraggio ne occorse eccome.
Note e bibliografia:
1) Il testo consultato di Emilio Ambrogio Paterno è "Storia di Montenero di Bisaccia dalle origini ai nostri giorni" (1969). Il libro è disponibile gratuitamente sulla Biblioteca digitale molisana (https://www.bdmpaterno.eu/archives/59);
2) Luigi Sacchetti è autore di "Montenero di Bisaccia: fatti e personaggi dei tempi passati, per non dimenticare". Uscito postumo dapprima su monteneronline.it nel 2008, il libro è tuttora disponibile gratuitamente su Biblioteca digitale molisana (https://www.bdmpaterno.eu/archives/80);
3) "Siamo mangiate": le donne in rivolta tradussero dal dialetto montenerese (sam magnit), usando pertanto anche in italiano l'ausiliario essere al posto dell'avere;

4) L'azienda Di Vaira è stata in seguito donata alla Diocesi di Termoli dalla vedova di Francesco Di Vaira. Conta circa 530 ettari in territorio di Petacciato, si estende dal confine con Montenero, a destra e sinistra della Ss 157, fino al mare.
5) Il libro consultato è "Un legionario nella guerra civile di Spagna" (2013), scritto da Altiero D'Ascenzo, che ha ricostruito la storia di suo nonno.

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