MONTENERO DI BISACCIA. Come e se cambierà qualcosa nella minoranza consiliare si saprà dopo la riunione di sabato, o domenica se si andrà in seconda convocazione. Si spaccherà , rimarrà unita, ripartirà comunque vada un'azione di pungolo alla maggioranza più incisiva di quanto visto finora? Difficile dirlo, ma nel frattempo un excursus sulle opposizioni monteneresi degli anni che furono può servire ad avere un quadro di come, in passato, sono andate le cose nel campo di chi è chiamato al fondamentale compito di vigilare sull'operato di chi amministra. Nonché, per dirla tutta, evitare che chi è al potere si monti troppo la testa e pensi davvero di essere perfetto e di non meritare nessuna critica. E allora ecco come più o meno è andata in quel delle minoranze negli ultimi cinquanta anni.
Dal 1970 al 1975 a sedere nei banchi di chi reclama fu la Democrazia cristiana, o almeno gran parte del suo pacchetto eletti, che ne contava ben nove. Sindaco divenne Antonino Vitulli, di fatto un democristiano anch'egli, ma a capo di una lista civica che si era alleata con i comunisti e con due dc. Toccò pertanto ai moderati rimasti sotto l'insegna dello scudocrociato fare opposizione e preparare l'eventuale riscossa.
La quale arrivò nel 1975, quando le parti si rovesciarono, nel senso che il sindaco uscente Vitulli fu messo in minoranza dalla Democrazia cristiana, che arrivò ad allearsi essa con il Partito comunista italiano. Legame anomalo che non durò a lungo e pertanto il compito di opporsi fu dapprima svolto dall'ex primo cittadino, poi dagli stessi compagni passati in minoranza, a partire dal 1978. E non finisce qui, perché non contenta la Dc pensò bene di spaccarsi e far cadere il sindaco Luciantonio Sacchetti con qualche mese di anticipo. Se non si accontenta di quella esterna, in sintesi, la maggioranza si crea la minoranza da sola.
Questo in ogni caso non impedì alla Balena bianca di trionfare alle successive elezioni del 1980, quando la Dc ebbe il sindaco con Armando Benedetto alleandosi con la lista civica di Antonino Vitulli. Fu un quinquennio con la minoranza stabilmente rappresentata soprattutto dal Pci. Un'azione di contrasto all'apparenza del tutto innocua in un periodo dominato dalla Dc. Di fatto era la semina più o meno consapevole, sicuramente efficace, per assaltare il Palazzo di lì a qualche anno. Fu infatti nel 1985 che i comunisti tornarono al potere: complice una frattura in seno alla solo cinque anni prima riunificata Democrazia cristiana. E ottennero addirittura il sindaco: iniziava la carriera politica di Nicola D'Ascanio. La minoranza fu rappresentata dalla parte di Dc rimasta sotto l'egida del simbolo, almeno fino al 1989, quando ritrovò l'unità con la civica fino ad allora alleata con il Pci e, si poteva ancora, sostituì il sindaco eleggendo Teresio Di Pietro. D'Ascanio dal canto suo iniziò un anno di opposizione dura e di preparazione per il rientro in municipio.
E così fu: nel 1990 il Pci trionfò addirittura da solo e relegò la Dc, di nuovo tutta unita, in minoranza. Stavolta con quelle vittorie nette che sanno di umiliazione per gli avversari. Era opinione diffusa che i democristiani non fossero all'altezza dei compagni in fatto di opposizione, ma la fecero in quei due anni. Già , perché l'amministrazione tutta rossa implose in modo clamoroso e inaspettato molto presto e si dovette tornare a votare già nel 1992.
Questa volta la spaccatura riguardava il partitone rosso, che una volta al potere si era scoperto afflitto dallo stesso atavico problema dei moderati, le correnti e le divisioni. Eppure alle elezioni i moderati non andarono oltre i dieci seggi, fra le varie liste, ma riuscirono a fare una maggioranza ed eleggere sindaco Domenico Porfido con l'appoggio dell'unico eletto di Rifondazione comunista, in dissidio con D'Ascanio già dalla crisi dell'anno precedente.
Durò poco anche stavolta e la sinistra tornò al potere un anno dopo, nel 1993, rendendo il "favore" alla Democrazia cristiana: fu infatti un suo eletto a dare l'undicesimo seggio a Nicola D'Ascanio, che per la terza volta tornava a indossare la fascia tricolore. Da quel momento, complice il consolidarsi di una formazione di centrosinistra con i moderati man mano inseriti in maggioranza, la minoranza ebbe un ruolo più marginale, o almeno si sentì poco in quegli anni di rimanente legislatura.
Alle elezioni del 1997 scomparirono i simboli di partito dalle liste e vinse Sandro Panicciari, a capo di una civica di centrosinistra. La legge elettorale era cambiata e all'indomani del voto si conoscevano già , oltre al sindaco, quanti consiglieri sarebbero andati in maggioranza (dodici) e quanti in minoranza (cinque). Il centrosinistra era saldamente al potere, conquistava anche seggi regionali, ma l'opposizione si faceva sentire eccome. Finché, di nuovo, non ci fu una caduta anticipata dell'amministrazione a causa di una lotta intestina al centrosinistra, a cui si aggiungeva l'irrompere nell'agone politico di Antonio Di Pietro.
Il centrosinistra rivinse le elezioni nel 2000, Giuseppe D'Ascenzo sindaco, e le minoranze diventarono due: il centrodestra e la lista appunto di Di Pietro. Quest'ultima aveva al suo interno gli elementi che di lì a poco sarebbero confluiti nel fronte di centrodestra, compreso un giovane Nicola Travaglini. Tempo infatti cinque anni e una sola lista sfidò D'Ascenzo, ma perse e anche in maniera netta. Seguì un altro lustro di opposizione dura, con un gruppo compatto che non si faceva sfuggire la minima occasione per fare le pulci alla maggioranza. Ma come avvenuto già nel quinquennio 1980-85, la prima dote che deve avere un gruppo di minoranza è anche, se non soprattutto, essere capace di approfittare delle difficoltà altrui. Essere pronti, in definitiva, se la maggioranza si spacca.
E infatti così avvenne nel 2010, quando Nicola Travaglini divenne sindaco grazie alla frattura del centrosinistra e alleandosi con parte di esso. Déjà vu, fatte le dovute variazioni, nel 1970, 1975, 1985, 1992 e 1993. Le minoranze nel quinquennio 2010-15 furono due e se alle successive elezioni furono ben quattro le liste, pare evidente che non si riuscì nel ricompattamento che avrebbe dovuto rappresentare la conditio sine qua non per insidiare il dominio travagliniano.
Tant'è che il sindaco uscente rivinse facilmente, addirittura prendendo la maggioranza assoluta dei voti. E le minoranze anche stavolta furono due, una delle quali guidata da un redivivo Nicola D'Ascanio. Specie la sua azione fu molto incisiva, per alcuni anche troppo. Come non succedeva da anni i battibecchi politici furono spostati addirittura in Tribunale, con denunce reciproche.
Si arriva così all'anno scorso, quando a sfidare Simona Contucci, diretta emanazione della maggioranza uscente, è stata una sola lista, frutto di un faticoso ricompattamento delle forze di centrosinistra. Che non è servito o forse non è bastato, le letture sono diverse, poiché la vittoria della prima donna in fascia tricolore a Montenero è stata travolgente. Il gruppo di minoranza è tornato a essere uno solo ma, è cronaca di questi giorni, i problemi interni fanno pensare addirittura a un'imminente scissione. Se in due o più gruppi chissà . Le voci su un malcontento negli ambienti della lista perdente si fanno sempre più insistenti, sotto accusa l'azione dei quattro eletti e soprattutto, se non altro per la carica ricoperta, del capogruppo e già candidato a sindaco Fabio De Risio. Come anticipato in apertura, e riportato su Monteneronotizie qualche giorno fa, una riunione chiarificatrice è prevista per sabato. Non resta che attendere.
In conclusione, si fa presto a pontificare "non c'è più la minoranza di una volta", incombe il rischio di scivolare nella facile nostalgia dei luoghi comuni. Quello che la storia insegna, però, è che quando ci sono stati rovesciamenti o cambi di maggioranza la costante è sempre stata una: la minoranza era pronta da tempo ad approfittare dell'occasione, cioè della spaccatura avversaria, aveva le truppe schierate sul confine con caricatore inserito e magari anche il colpo tirato in canna. Stavolta invece?
Nella foto un concitato momento in un Consiglio comunale del 2009, la minoranza protesta all'indirizzo della maggioranza