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Il centrosinistra montenerese e il canto del cigno

La débacle elettorale di dieci giorni fa arriva da più lontano

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MONTENERO DI BISACCIA. Un’antica leggenda vuole che il cigno intoni il suo canto più bello poco prima della morte. Da qui l’espressione “canto del cigno” che, usata inizialmente in ambito artistico, oggi può indicare ogni momento migliore che precede la fine, in qualsiasi contesto, anche politico. Ecco perché fu un canto del cigno il trionfo elettorale del centrosinistra alle comunali del 2005. Non appaia esagerato ripartire da lì se si vuol capire perché, a distanza di dieci giorni, è ancora argomento quotidiano di discussione, in ogni dove, il considerevole divario di voti fra le due liste in competizione alle comunali.
E attenzione: uno scarto identico fu quello col quale il centrosinistra, appunto quindici anni fa, stracciò gli avversari. Gli stessi, più o meno, che si sono “vendicati” alcuni giorni fa. La storia è più complessa, ma come detto bisogna ripartire dal 2005 per comprendere come mai una corazzata allora invulnerabile oggi non riesca minimamente a impensierire gli avversari che allora travolgeva. Procediamo con ordine.
Nel 2005, quando il centrosinistra era già saldamente al potere da vari anni, arrivò finalmente l’agognata unione, di nome e di fatto, con tutte le forze dello scacchiere progressista. In termini più chiari, anche Antonio Di Pietro e i suoi entrarono a dar man forte a Giuseppe D’Ascenzo per la conquista del suo secondo mandato. Dall’altro lato una lista civica, ma ispirata chiaramente al centrodestra. Prese una batosta prevedibile sì, ma non nei termini in cui avvenne, vale a dire 57 per cento contro 43 (scarsi). Cifre identiche a quelle di oggi, si noti. Fu un canto del cigno, con lo schieramento progressista che una volta unito trionfava, eleggeva suoi rappresentanti in Provincia e Regione e incollava l’ultimo tassello con il collegamento diretto alla politica nazionale con Tonino Di Pietro.
Non c’erano i social e per questo la derisione degli sconfitti (c’era già) era relegata nelle discussioni dal vivo di piccoli gruppetti, senza lasciare velenose tracce digitali come oggi. Così passati i bagordi elettorali, nel centrosinistra arrivò la notte dei coltelli. Molto lunga. Senza entrare troppo nei dettagli basti ricordare per sommi capi i principali regolamenti di conti avvenuti negli anni. Dapprima ci fu il rifiuto delle dimissioni da consigliere degli assessori che impedì di entrare ai non eletti, poi la lotta fratricida per i rimborsi a un assessore per le assenze dal lavoro, vari capricci in giunta e non solo, poi il muro del porto turistico che non piaceva, fino alla battaglia campale, la resa dei conti definitiva, su una serie di costruzioni nei pressi del centro commerciale, alla marina di Montenero. Quelle case non sarebbero state edificate, ma servirono per demolire il centrosinistra, quello stesso che solo quattro anni prima aveva sbaragliato gli avversari.
Avvenne così che una parte di quel fronte progressista osò rivolgere la parola ai “nemici” di sempre, fra questi Nicola Travaglini, che avrebbe beneficiato più di tutti della lotta fratricida avversaria, diventando sindaco. Mentre il resto del centrosinistra si divise a sua volta in due liste, una delle quali sostenuta da Simona Contucci, all’epoca attiva militante dipietrista.
Il resto è storia nota: dopo il primo mandato Travaglini si alleò anche con i dipietristi e alle comunali 2015 prese la maggioranza assoluta in una lotta con addirittura quattro liste. Fino a pochi giorni fa quando, da molti dato per politicamente finito, ha portato in dote alla Contucci un portafoglio voti invidiabile. Oltre a presentare un’immagine molto meno scalfita di quanto si pensasse.
Da quel 2005, data di partenza di questa analisi/ricostruzione, il quadro politico locale (e non solo) è stato stravolto. Una serie di fenomeni osmotici politico-elettorali ha interessato partiti e alleanze, oggi irriconoscibili con le lenti di allora. Rimane che le elezioni appena finite, come quelle di cinque anni fa, confermano la difficoltà, per taluni l’impossibilità, di creare un’alternativa capace di conquistare il palazzo di città. Tutto ebbe inizio quindici anni fa e non dieci.
Fu, appunto, un canto del cigno del centrosinistra.

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