MAFALDA. C'è da supporre che secondo consolidata tradizione anche stavolta la campagna elettorale si infiammerà . A dispetto dei pochi abitanti, per altro in inesorabile diminuzione, le elezioni comunali sono da sempre vivaci, animate, sicuramente partecipate. E dimostrazione ne sia la presentazione di tre liste, la volta scorsa addirittura quattro, ciò che stride con la non lontana Petacciato, dove invece competerà (si fa per dire) una sola da qui all'8 e 9 giugno.
A Mafalda, si diceva, l'appuntamento con le comunali è da sempre momento di partecipazione e talvolta eccessi, come spesso succede nei centri piccoli. Ed ecco com'è andata negli ultimi cinquanta anni.
1975. Fu l'elezione in cui si visse la sindrome petacciatese avanti lettera, poiché si presentò una sola lista. Negli ambienti della Democrazia cristiana, partito fino allora dominante, si litigò fino alla sera prima, quando una delle maggiorenti locali dc (quando si dice che l'emancipazione è solo di sinistra...), vale a dire Maria Porticella, mantenne la parola e davvero non concesse "lo scudo". In pratica non autorizzò all'uso del simbolo di partito, che nel caso della Dc era il celebre scudocrociato.
A nulla servirono intervento e mediazione delle sezioni democristiane di centri più importanti, in primis Montenero di Bisaccia e Termoli. La lista della Balena bianca non fu presentata e così la civica antagonista rimase sola. Vittoria "assicurata". Come detto, sindrome petacciatese ante litteram. Una lista che comprendeva elementi di sinistra e di centro, ma anche chi non aveva ancora ben definita un'identità politica, almeno allora. Era il caso di un certo Nicola Valentini, all'epoca appena ventisettenne, che avrebbe fatto parlare di sé anche fuori dei confini mafaldesi, che presto gli sarebbero stati stretti.
Fu infatti Valentini ad essere eletto sindaco dal Consiglio comunale, poiché l'elezione diretta sarebbe arrivata anni dopo. Nel corso del mandato 1975-80 perse alcuni elementi centristi e si avvicinò sempre più al Partito comunista italiano.
(foto: simpatizzanti dell'unica lista presentata e quindi vincente nel 1975, archivio Antonio Assogna)
1980. Cinque anni dopo quella vittoria a tavolino arrivò l'esame vero per la prima amministrazione rossa di Mafalda. E fu superato a pieni voti, poiché la lista di Valentini stravinse sugli avversari democristiani con ben trecento voti di differenza. Una valanga per i numeri mafaldesi. Riconfermato sindaco, Valentini in quegli anni costruiva un'immagine di sé pronta a valicare i confini comunali, dandogli un prestigio che sarebbe durato ancora a lungo e, attenzione, si sarebbe riverberato anche sui suoi successori in amministrazione. L'onda lunga del "valentinismo", almeno fino a un certo punto. Mafalda intanto era "ufficialmente" un paese di sinistra, le tessere del Pci si moltiplicavano. Non era comunista un certo Egidio Riccioni, che fu consigliere comunale in quella maggioranza ma qualche anno dopo litigò furiosamente con Valentini, per poi diventarne il più acerrimo avversario. Ma di questo ci occuperemo fra un po'.
1985. Il sindaco uscente e sicuro riconfermato per la terza volta, si candidò anche alle regionali, dove fu eletto col Pci. Scelse ovviamente l'incarico più prestigioso e dopo di allora mai più centrato da un mafaldese. Sindaco divenne Leonardo Palena, suo fidato. L'amministrazione andò avanti tranquillamente, senza scossoni fino al 1990. Vincere per la Democrazia cristiana locale stava diventando come in Emilia Romagna: impossibile. Sembrava almeno.
1990. In un paese ormai rosso e dove non si pensava neanche possibile per altri avvicinarsi alla stanza dei bottoni, la lista Intesa democratica vinse senza problemi e sindaco divenne Ermindo Valentini, da non confondere con Nicola. Questi mancò la rielezione in Regione e nei suoi ambienti subito si parlò di mancato appoggio da parte del Pci di Montenero di Bisaccia. Qui l'astro emergente si chiamava Nicola D'Ascanio e, evidentemente, fra Nicola non si doveva andare d'accordo nel partitone rosso.
L'amministrazione comunale mafaldese andò avanti sempre nella massima tranquillità progressista, chi mai avrebbe potuto scalzare dal potere la macchina creata da Valentini vent'anni prima?
1995. Invece qualche segnale cominciò ad arrivare quando, spariti i simboli di partito un po' ovunque, comparve sulla scena la lista Insieme per Mafalda, capeggiata da Egidio Riccioni. Rimasto fuori dall'agone politico per dieci anni, si riproponeva alla guida degli avversari della lista in cui aveva a sua volta militato. Nel frattempo lui e Nicola Valentini erano diventai nemici per faccende extra politiche. Intesa democratica vinse per cinquantuno voti, non più una valanga. Anzi. Un primo segnale per il progressismo mafaldese probabilmente ignorato. Nel frattempo Riccioni faceva opposizione decisa in Consiglio, la sua traversata nel deserto quasi coincidente con quella di colui al quale, a livello nazionale, si sarebbe presto ispirato, Silvio Berlusconi.
A Mafalda il sindaco dell'unico mandato durato quattro anni, e il primo con l'elezione diretta, fu Antonio Matassa. L'onda lunga valentiniana continuava, nonostante tutto. Per quanto ancora?
1999. Infatti che si respirasse aria di cambiamento fu confermato nelle elezioni successive, quando Riccioni vinse e rovesciò il predominio di sinistra che perdurava da ventiquattro anni. E fu una vittoria netta, con ben 102 voti di differenza. A lui e a persone che mai erano state nella stanza dei bottoni il potere per cinque anni, perché era stata già ripristinata la durata classica della consiliatura. Il progressismo mafaldese rovesciato, senza inciuci e senza nessuna contiguità . Dura lex sed lex per Intesa democratica, all'interno della quale subito si cominciò a cercare i colpevoli. Troppo dura ammettere che dopo tanti anni ci si può logorare. E siccome era diventato inconcepibile ammettere che potessero albergare altri che non loro in municipio, per le successive comunali richiamarono in servizio il loro asso.
2004. Nicola Valentini tornò a candidarsi alle comunali a distanza di diciannove anni dall'ultima volta. A lui la missione di cacciare dal Comune Riccioni e i suoi. Missione che sì riuscì, ma fu una vittoria al fotofinish, tredici soli voti di scarto. Ciò che fornì spunti adrenalinici agli spettatori di tutto il circondario in quel pomeriggio dove nessuno dei due prevaleva, ma al tempo stesso confermava da un lato la forza di Riccioni e dall'altro la debolezza del progressismo mafaldese. Nonostante il ritorno del big.
(foto: Nicola Valentini nel 2004)
2009. Tant'è che cinque anni dopo a vincere tornò l'avversario di sempre, quell'Egidio Riccioni ormai alla quarta candidatura consecutiva, leader indiscusso del centrodestra locale. Una campagna elettorale molto lunga, iniziata ben prima della presentazione delle liste per la paventata costruzione di una centrale elettrica a biomasse in contrada Pianette, nella zona artigianale. Nicola Valentini non si ripropose e quindi non assaggiò la sconfitta diretta, che stavolta fu netta: centoventi voti di differenza. La conferma che il popolo mafaldese può cambiare schieramento se vuole, come d'altronde fece a vantaggio di Valentini stesso molti anni prima. Nemesi mafaldese.
(foto: Egidio Riccioni portato in trionfo dopo la vittoria del 2009)
2014. Per la prima volta si videro tre liste, ma Riccioni ebbe gioco facile a prevalere, soprattutto su una delle due: Intesa democratica ormai sul viale del tramonto, alla sua ultima apparizione come simbolo di una lista. Di nuovo il distacco che il sindaco uscente e riconfermato per il suo terzo mandato (ma secondo consecutivo e per questo possibile, all'epoca) fu netto: sessantotto voti sulla seconda in uno scontro a tre. A guidare Intesa democratica fu un giovane di nome Emilio Montano, lo stesso che anni dopo, e cioè in questo 2024, sarebbe tornato a sfidare Egidio Riccioni, oltre alla maggioranza uscente.
(foto: Riccioni riconfermato nel 2014)
2019. La modifica alla legge che limitava a due i mandati consecutivi arrivò giusto in tempo per permettere a Riccioni di provarci ancora. E ovviamente lo fece. Se avesse vinto avrebbe significato per lui essere sindaco per quindici anni consecutivi, venti in tutti considerando l'esperienza del 1999-2004, oltre che in Consiglio comunale ininterrottamente dal 1995, più il quinquennio in maggioranza con Valentini 1980-1985. Uno che senza politica comunale (nei livelli superiori non ebbe molta fortuna) non sa resistere, la fascia tricolore quasi cucita addosso. Eppure nel 2019 mal gli incolse la spaccatura creatasi nella sua maggioranza, fu una corsa con quattro liste, record assoluto insuperato. Riccioni perse per undici voti, egemonia interrotta e sindaco divenne Giacomo Matassa.
(foto: i componenti della lista Prima Mafalda, vincente alle elezioni 2019)
Questa la storia più o meno recente delle elezioni comunali mafaldesi. Intanto è appena iniziata la campagna elettorale che vede candidati due degli attori già incontrati in questa disamina, Egidio Riccioni, ovviamente, ed Emilio Montano, pronti a sfidare il rappresentante della maggioranza uscente, Antonio Barattucci. Un altro capitolo di politica locale per un paese dove come detto c'è sempre stato fermento, spesso eccessivo, ma che dopo la sindrome petacciatese di una sola lista nel 1975, ha sempre saputo proporre un'alternativa o rovesciare chi si stava crogiolando troppo nel proprio potere. Di centrodestra come di centrosinistra.